domingo, 25 de dezembro de 2011

La mia Vita


Leggere l'autobiografia di Joseph Ratzinger aiuta a fare piazza pulita di tutte le etichette che, in questi anni e dopo l'elezione al soglio pontificio, sono state appiccicate addosso al già custode della Dottrina della Fede. Chi si aspettasse di trovare nel libro la storia e il ritratto di un Ratzinger rigido«tradizionalista» e «conservatore», resterà inevitabilmente deluso. Sin dalle prime pagine, infatti, e per tutto lo svolgimento cronologico del testo, egli si sforza di descrivere per cenni - tanto brevi quanto significativi - il clima spirituale in cui si svolse la sua giovinezza e maturò la sua vocazione. Una vocazione - certo - al sacerdozio, ma anche, in maniera accentuata, una sorta di vocazione alla teologia, che sembra fare da fil rouge di tutto il racconto autobiografico.
Nella Germania degli anni '30 e '40 (Ratzinger è nato a Marktl sull'Inn, un piccolo paese della Baviera, nel 1927) infatti, già si respirava l'aria di un rinnovato fervore teologico e spirituale, segnato soprattutto dal cosiddetto«movimento liturgico» e dalle nuove prospettive aperte dalla scuola esegetica. Ratzinger, pur individuando esplicitamente ed acutamente i limiti presenti in questi due fenomeni, non manca di documentare l'interesse e la vivacità da essi suscitati in tanti giovani alla ricerca, dopo la tragedia della prima guerra mondiale, di una teologia e di una proposta cristiana in grado di fare i conti fino in fondo con i dati e le domande brucianti dell'esistenza. Il passaggio da un clima culturale rigidamente razionalista, scientista e tecnicista (quale era quello dei primi decenni del Novecento) ad un clima - potremmo dire - più disincantato ed «esistenzialista», viene vissuto dal giovane Ratzinger in tutta la sua portata, e lo spinge a coniugare un limpido e solido radicamento nella tradizione cristiana familiare con una «spregiudicata» e saporita ricerca teologica capace di rivolgersi alle istanze spirituali più profonde dei suoi contemporanei.

Gli anni del nazismo e la seconda guerra mondiale

Tutto questo matura in Ratzinger proprio negli anni in cui la Germania vive la tragedia del nazismo. Suo padre, gendarme, comprende subito l'essenza e le potenzialità di male presenti nel nazionalsocialismo, e nei primi anni del nuovo regime cerca il più possibile di tenere un «basso profilo», di non mettersi al servizio del crescente clima di violenza e di sopruso. Da qui i numerosi spostamenti e cambiamenti di residenza della famiglia, alla ricerca di località non ancora fagocitate dall'ideologia hitleriana. Un'ideologia che il giovane seminarista Joseph legge come profondamente avversa al Cristianesimo e alla tradizione spirituale della Germania e dell'Europa intera; un'ideologia anti-cristiana perché radicalmente anti-umana, assolutizzatrice dei peggiori miti creati dalla modernità.
Scoppia la seconda guerra mondiale. Il regime, bisognoso di sempre nuovo personale militare, decide nel 1943 che le sedi dei collegi studenteschi vengano spostate nei pressi delle batterie antiaeree e che gli studenti, nel tempo non occupato dalle lezioni e dallo studio, partecipino ai servizi di difesa dagli attacchi aerei nemici. Joseph, allora appartenente al seminario di Traunstein, viene chiamato, con tutta la sua classe, nei servizi di contraerea a Monaco. A Gilching viene assegnato ai servizi telefonici e dispensato dalle esercitazioni militari. Gode di un piccolo alloggio personale, che gli permette di dedicarsi, al di fuori delle ore del servizio, ai suoi studi e alle sue letture. Con un gruppo di cattolici, organizza lezioni di religione e ottiene di poter occasionalmente frequentare la chiesa.
Ma la tragedia della guerra procede«Il 10 settembre 1944 - racconta Ratzinger - giunti nel frattempo all'età del servizio militare, venimmo congedati dalla contraerea...Quando tornai a casa, sul tavolo c'era già la chiamata al servizio lavorativo del Reich. Il 20 settembre un viaggio interminabile mi portò fin nel Burgenland...Quelle settimane di servizio lavorativo sono rimaste nella mia memoria come un periodo opprimente». Ratzinger si ritrova di fronte, a differenza dei mesi di Gilching, a gerarchi nazisti «duri e puri» della prima ora, che tentano in tutti i modi di convincere i giovani ad arruolarsi nelle SS. Seguendo il coraggioso esempio di altri suoi compagni, alla richiesta di arruolamento nelle SS risponde manifestando la sua intenzione di farsi sacerdote cattolico. «Venimmo coperti di scherni e di insulti - racconta - ma queste umiliazioni ci erano molto gradite, dal momento che ci liberavano dalla minaccia di questo arruolamento falsamente "volontario" e da tutte le sue conseguenze». Per alcuni mesi, Ratzinger è sottoposto ai servizi lavorativi per l'esercito. Ma intanto, l'avanzata liberatrice degli alleati procede, sempre più zone della Germania vengono liberate e finalmente anche Joseph, non senza rischi, riesce a far ritorno a casa. Trascorre poi un breve periodo in un campo di prigionieri americano, fino al definitivo ritorno a casa.

Sacerdote e teologo

Terminata la guerra, tra le mille difficoltà dovute alle devastazioni del conflitto mondiale, Ratzinger può finalmente riprendere il suo cammino al sacerdozio e dedicarsi a tempo pieno allo studio teologico. Frequenta il seminario di Frisinga. Legge e impara ad amare Dostoevskij, Claudel, Bernanos, Mauriac, Guardini, Buber. «Riconoscenza e voglia di rinascere, di lavorare nella Chiesa e per il mondo: erano questi - scrive - i sentimenti che dominavano l'atmosfera in quella casa». E' di questo periodo il grande innamoramento per l'opera e per l'insegnamento di sant'Agostino, che segnerà poi in profondità tutta la vita e il pensiero di Ratzinger. Dopo il biennio filosofico di Frisinga, Ratzinger è a Monaco, dove incontra in tutta la sua portata il dibattito teologico di quegli anni: il sempre crescente ruolo dell'applicazione del metodo storico allo studio delle Scritture, il rapporto tra esegesi e dogma, il rinnovamento della liturgia sono solo i principali problemi posti alla teologia dalla cosiddetta «svolta» dei primi decenni del Novecento e con cui il giovane teologo Ratzinger si dovrà confrontare. «Quando ripenso - racconta - agli anni intensi in cui studiavo teologia, posso solo meravigliarmi di tutto quello che oggi si sostiene a proposito della cosiddetta chiesa "preconciliare". Tutti noi vivevamo nella percezione della rinascita, avvertita già negli anni Venti, di una teologia capace di porre domande con rinnovato coraggio e di una spiritualità che si sbarazzava di ciò che è ormai invecchiato e superato, per farci rivivere in modo nuovo la gioia della redenzione. Il dogma non era sentito come un vincolo esteriore, ma come la sorgente vitale, che rendeva possibili nuove conoscenze. La Chiesa per noi era viva soprattutto nella liturgia e nella grande ricchezza della tradizione teologica». Sin da bambino, del resto, Joseph Ratzinger aveva sperimentato in maniera profonda tutta l'attrattiva della liturgia. Racconta della gioia nata in lui, sin dagli anni dell'infanzia, dalla lettura del Messale quotidiano, con tutta la sua ricchezza spirituale che sarebbe stata, negli a venire, così feconda per il suo pensiero e le sue opere. E proprio la liturgia è un tema fondamentale del suo interesse come teologo e come pastore.
Riceve l'ordinazione sacerdotale il 29 giugno del 1951. Dopo aver ottenuto, nel 1953, il dottorato con una dissertazione su «Popolo e Casa di Dio nella Dottrina della Chiesa di sant'Agostino» e nel 1957 la libera docenza con una tesi sulla teologia della storia di Bonaventura, nel 1962 viene chiamato al Concilio Vaticano II come consulente teologico del cardinale Frings. Al Concilio, stringe amicizia con i maggiori teologi chiamati a partecipare all'assise, tra cui De Lubac, Danielou, Congar, Philips.

Ratzinger e il Concilio Vaticano II

Proprio le vicende conciliari segnano la definitiva maturazione del pensiero teologico ed ecclesiale di Ratzinger. Da un lato, si approfondisce in lui un concetto non statico di «rivelazione». Rifacendosi ai Padri della Chiesa e al Concilio di Trento, egli afferma che non è possibile ridurre tutto lo spettro della rivelazione al solo testo delle Scritture. La rivelazione è invece un fatto dinamico, che implica la partecipazione ad essa della libertà dell'uomo che ascolta l'annuncio della salvezza. La rivelazione, cioè, presuppone un Dio che si manifesta all'uomo e l'uomo che accoglie questa manifestazione, questa«epifania» del divino. Dio, rivelandosi ed incarnandosi in Cristo, entra dunque misteriosamente nella sfera dell'umano, delle attese e delle domande più profonde che la creatura porta con sé. Ed è dall'uomo che Egli attende una risposta, l'adesione alla Sua amicizia e alla Sua Persona.
Dall'altro lato, Ratzinger comprende fino in fondo tutte le contraddizioni e i pericoli insiti in una lettura che potremmo chiamare «integralista» del Concilio Vaticano II, come se questo avesse dovuto essere una rifondazione radicale della Chiesa e del suo edificio spirituale. Nell'autobiografia, egli denuncia a chiare lettere la confusione generata, nel popolo cristiano, dalla predominanza dell'intellighentzia teologica sul comune sensus fidei. Sembrava in quegli anni - dice - che non vi fosse più nulla di certo e stabile nella dottrina cristiana, e che un gruppo di teologi potesse sovvertire e modificare ogni punto del depositum fidei. La critica più aspra di Ratzinger si rivolge, in tal senso, alla riforma liturgica promulgata da Paolo VI, nel 1969, con il Novus ordo missae«Il fatto che - scrive - dopo un periodo di sperimentazioni che spesso avevano profondamente sfigurato la liturgia, si tornasse ad avere un testo liturgico vincolante, era da salutare come qualcosa di sicuramente positivo. Ma rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. Si diede l'impressione che questo fosse del tutto normale». E prosegue: «La promulgazione del divieto del messale che si era sviluppato nel corso dei secoli, fin dal tempo dei sacramentali dell'antica Chiesa, ha comportato una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano solo essere tragiche».

La Commissione Teologica Internazionale e l'ordinazione episcopale

Dopo l'esperienza conciliare, Ratzinger viene chiamato a far parte della Commissione Teologica Internazionale. Fonda, assieme ad altri eminenti teologi, la rivista internazionale Communio, che ancora oggi prosegue la sua attività. Nel frattempo, prosegue la sua intensa e feconda esperienza di docente, prima a Bonn, poi a Munster, Tubinga (chiamato dal teologo svizzero Hans Kung) e infine a Ratisbona. E' fiero oppositore della svolta sessantottina. Critica alla radice lo spirito utopico di quegli anni e l'infiltrarsi, anche nella Chiesa, dell'idea marxista della realizzazione di un «paradiso in terra» dimentico della reale natura e delle più profonde esigenze spirituali dell'uomo.
Nel 1977, Paolo VI lo nomina arcivescovo di Monaco e Frisinga. Cattedra che terrà fino al 1981, anno in cui verrà chiamato a Roma, da Giovanni Paolo II, a presiedere la Congregazione per la Dottrina della Fede.

Una storia che continua...

E qui inizia la storia recente del cardinale Ratzinger, una storia culminata, lo scorso 19 aprile, con l'elezione al soglio pontificio col nome di Benedetto XVI. L'autobiografia si conclude proprio con la testimonianza dell'esperienza pastorale a Monaco. E si conclude, nell'ultima pagina, con il richiamo all'orso di Corbiniano, primo vescovo di Monaco e Frisinga, che Ratzinger ha fatto apporre anche nel suo stemma pontificio, e che ci riporta all'immagine di quel «semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore» con cui egli si è voluto definire subito dopo l'elezione papale: «Un orso - racconta - aveva sbranato il cavallo del santo, che stava recandosi a Roma. Corbiniano lo rimproverò aspramente per questo misfatto e come punizione gli caricò sulle spalle il fardello che fino a quel momento era stato portato dal cavallo. L'orso dovette trasportare il fardello fino a Roma... Cosa potrei raccontare di più e di più preciso sui miei anni come vescovo? Di Corbiniano si racconta che a Roma restituì la libertà all'orso. Se questo se ne sia andato in Abruzzo o abbia fatto ritorno sulle Alpi, alla leggenda non interessa. Intanto io ho portato il mio bagaglio a Roma e ormai da diversi anni cammino con il mio carico per le strade della Città Eterna. Quando sarò lasciato libero, non lo so, ma so anche per me vale il salmo: "sono divenuto una bestia da soma, e proprio così io sono vicino a te"».

Livro:La mia Vita
autor:Joseph Ratzinger
editora:San Paolo
pgs:152
língua:italiano
ano:1997
biblioteca pessoal: não tenho

La peste



La Peste est publié en 1947 et vaut à Albert Camus son premier grand succès de librairie : 161 000 exemplaires vendus dans les deux premières années. Ce roman s'est vendu, depuis, à plus de 5 millions d'exemplaires , toutes éditions françaises confondues.
La Peste est bâti comme une tragédie en cinq actes. L'action se situe en avril 194. à Oran,  une ville "fermée" qui "tourne le dos à la mer".


Oran, un jour d'avril 194. , le docteur Rieux découvre le cadavre d'un rat sur son palier. Le concierge, monsieur Michel, pense que ce sont des mauvais plaisants qui s'amusent à déposer ces cadavres de rats dans son immeuble. A midi, Rieux accompagne à la gare son épouse qui, malade, part se soigner dans une ville voisine. Quelques jours plus tard, une agence de presse annonce que plus de six mille rats ont été ramassés le jour même. L'angoisse s'accroît . Quelques personnes commencent à émettre quelques récriminations contre la municipalité. Puis , soudainement, le nombre de cadavres diminue, le rues retrouvent leur propreté, la ville se croit sauvée.
Monsieur Michel, le concierge de l'immeuble de Rieux, tombe malade . Le docteur Rieux essaye de le soigner. Sa maladie s'aggrave rapidement. Rieux ne peut rien faire pour le sauver. Le concierge succombe à un mal violent et mystérieux.
Rieux est sollicité par Grand, un employé de la mairie. Il vient d'empêcher un certain Cottard de se suicider. Les morts se multiplient. Rieux consulte ses confrères. Le vieux Castel, l'un d'eux, confirme ses soupçons : il s'agit bien de la peste. Après bien des réticences et des tracasseries administratives, Rieux parvient à ce que les autorités prennent conscience de l'épidémie et se décident à "fermer" la ville.


La ville s'installe peu à peu dans l'isolement. L'enfermement et la peur modifient les comportements collectifs et individuels : " la peste fut notre affaire à tous" , note le narrateur.
Les habitants doivent composer avec l'isolement aussi bien à l'extérieur de la ville qu'à l'intérieur. Ils éprouvent des difficultés à communiquer avec leurs parents ou leurs amis qui sont à l'extérieur. Fin juin, Rambert, un journaliste parisien séparé de sa compagne , demande en vain l'appui de Rieux pour regagner Paris. Cottard, qui avait, en avril, pour des raisons inconnues tenté de se suicider , semble éprouver une malsaine satisfaction dans le malheur de ses concitoyens. Les habitants d'Oran tentent de compenser les difficultés de la séquestration , en s'abandonnant à des plaisirs matériels. Grand , employé de la mairie, se concentre sur l'écriture d'un livre dont il réécrit sans cesse la première phrase. Le père Paneloux fait du fléau l'instrument du châtiment divin et appelle ses fidèles à méditer sur cette punition adressée à des hommes privés de tout esprit de charité.
Tarrou, fils d'un procureur et étranger à la ville, tient dans ses carnets sa propre chronique de l'épidémie . Lui ne croit qu'en l'homme . Il fait preuve d'un courage ordinaire et se met à disposition de Rieux pour organiser le service sanitaire. Rambert les rejoint.


C'est l'été, la tension monte et l'épidémie redouble. Il y a tellement de victimes qu'il faut à la hâte les jeter dans la fosse commune , comme des animaux. La ville est obligée de réprimer des soulèvements et les pillages. Les habitants semblent résignés . Ils donnent l'impression d'avoir perdu leurs souvenirs et leur espoir . Ils n'ont plus d'illusion et se contentent d'attendre...


Cette partie se déroule de septembre à décembre. Rambert a eu l'opportunité de quitter la ville , mais il renonce à partir. Il est décidé à lutter jusqu'au bout aux côtés de Rieux et de Tarrou. L'agonie d'un jeune enfant, le fils du juge Othon et les souffrances qu'éprouvent ce jeune innocent ébranlent Rieux et troublent les certitudes de l'abbé Paneloux. L'abbé se retranche dans la solitude de sa foi, et meurt sans avoir sollicité de médecin, en serrant fiévreusement contre lui un crucifix. Tarrou et Rieux , connaissent un moment de communion amicale en prenant un bain d'automne dans la mer . A Noël, Grand tombe malade et on le croit perdu. Mais , il guérit sous l'effet d'un nouveau sérum. Des rats, réapparaissent à nouveau, vivants.

C'est le mois de janvier et le fléau régresse. Il fait pourtant de dernières victimes : Othon, puis Tarrou qui meurt, serein au domicile de Rieux . Il confie ses carnets au docteur. Depuis que l'on a annoncé la régression du mal, l'attitude de Cottard a changé. Il est arrêté par la police après une crise de démence
Un télégramme arrive chez Rieux : sa femme est morte.
A l'aube d'une belle matinée de février, les portes de la ville s'ouvrent enfin . Les habitants, libérés savourent mais ils n'oublient pas cette épreuve "qui les a confrontés à l'absurdité de leur existence et à la précarité de la condition humaine."
On apprend l'identité du narrateur : C'est Rieux qui a voulu relater ces événements avec la plus grande objectivité possible. Il sait que le virus de la peste peut revenir un jour et appelle à la vigilance.

Livro:A Peste
autor:Albert Camus
editora:Record
pgs:213
língua:Português
ano:não consta
Biblioteca pessoal: Não tenho

L'étranger

Meursault, le narrateur, est un jeune et modeste employé de bureau habitant Alger. Le récit commence le jour de la mort de sa mère. Au petit matin, il reçoit un télégramme de l'asile de vieillards de Marengo, situé à quatre-vingt kilomètres d'Alger lui annonçant son décès. Elle y séjournait depuis trois ans.
Meursault demande et obtient un congé de quarante huit heures et va déjeuner chez Céleste, un restaurant où il a l'habitude d'aller.
Vers deux heures de l'après-midi, il prend l'autobus. Il fait chaud, Meursault dort pendant presque tout le voyage. L'asile étant à deux kilomètres du village, Meursault termine le trajet à pied. Après les formalités, il a une entrevue avec le directeur de l'asile, qu'il écoute d'une oreille distraite. Ce dernier lui indique que sa mère n'était pas malheureuse à l'asile. Il lui annonce également que l'enterrement religieux est fixé au lendemain matin.
Puis Meursault se rend dans une salle blanchie à la chaux où se trouve entreposé le corps de sa mère mais il refuse de voir le corps . Il a une conversation avec le concierge. Cet homme bavard lui raconte sa vie et lui propose de dîner au réfectoire. Meursault, décline l'invitation. Le concierge lui offre alors un café au lait que Meursault accepte.
Puis a lieu la veillée, interminable : les amis de sa mère, tous semblables, y assistent. Ils s'installent autour du cercueil et laissent échapper des bruits bizarres de leurs bouches édentées. Une vieille femme pleure sans cesse. Meursault a la désagréable impression que ces vieillards sont là pour le juger.
Le jour se lève. Meursault admire la beauté de ce nouveau matin. Après une toilette rapide et un nouveau café au lait que lui a préparé le concierge, le narrateur se rend chez le directeur où il accomplit de nouvelles formalités administratives. Puis le cortège funèbre se rend vers l'église du village, située à trois quarts d'heure de marche. Un vieillard suit péniblement le cortège, il s'agit de Thomas Pérez, un compagnon d'asile de la mère de Meursault. les voisins se moquaient d'eux en les appelant "les fiancés". La chaleur est insoutenable. L'enterrement défile comme un songe dans l'esprit de Meursault : l'église, le cimetière, l'évanouissement du vieux Pérez, l'attente, puis la joie quand l'autobus le ramène enfin à Alger.
Meursault a enterré sa mère sans larmes et n'a pas voulu simuler un chagrin qu’il n’éprouvait pas.
A son réveil , le samedi, Meursault essaye de comprendre le mécontentement de son patron : deux jours de congé pour l'enterrement de sa mère , puis les deux jours de week-end, cela fait quatre jours d'absence. Désœuvré, Il décide d'aller se baigner au port. Il y rencontre par hasard Marie Cardona, une ancienne dactylo de son bureau dont il avait "eu envie à l'époque". Ils nagent, s'amusent dans l'eau. Leurs corps s'effleurent. Puis ils s'endorment ensemble sur une bouée, Meursault posant sa tête sur le ventre de Marie. Quand ils se rhabillent, Marie découvre , en voyant sa cravate noire, que Meursault est en deuil. Elle montre sa surprise lorsqu'elle apprend qu'il a perdu sa mère la veille. Le soir, ils vont au cinéma voir un film de Fernandel. Pendant la séance il lui caresse les seins et l'embrasse. Ils passent la nuit ensemble. Le dimanche matin elle part avant son réveil. Meursault reste au lit toute la matinée à fumer des cigarettes. Le midi il fait cuire des œufs et les mange à même le plat. Désœuvré, il passe tout l’après-midi à son balcon, et observe les allées et venues des gens de son quartier. Le soir, "j'ai pensé que c'était toujours un dimanche de tiré, que maman était maintenant enterrée, que j'allais reprendre mon travail et que, somme toute, il n'y avait rien de changé".
Le lundi, Meursault retourne au bureau. Après une matinée banale, il déjeune comme d'habitude chez Céleste avec son collègue Emmanuel. Puis sieste chez lui, et retour au bureau en tram, où il travaille "tout l'après-midi"; le soir, le plaisir simple de rentrer chez lui en marchant le long des quais.
Dans l'escalier de son immeuble, Meursault rencontre le vieux Salamano, son voisin de palier, accompagné de son chien, un épagneul couvert de croûtes, qui ne le quitte pas, et qu'il injurie ; cela fait huit ans que Meursault assiste quotidiennement à cette scène immuable. Puis dès qu'il a quitté Salamano, son autre voisin de palier, Raymond Sintès, l'invite à venir "manger un morceau" avec lui ; soupçonné d'être un souteneur, ce voisin a mauvaise réputation. il porte ce soir-là un pansement à la main : il s'est fait blesser au cours d'une rixe dont il fait le récit . Raymond Sintès se confie à Meursault : l'homme avec qui il s'est battu est le frère d'une femme qu'il "entretient ", et qu'il veut punir parce qu'il s'est aperçu " qu'il y avait de la "tromperie". il veut lui écrire une lettre, pour la faire revenir, et ensuite l'humilier. Il demande à Meursault de rédiger cette lettre et ainsi l'aider à réaliser sa vengeance . Meursault l'écrit. Raymond est satisfait et reconnaissant : "Maintenant, tu es un vrai copain".
La semaine s'achève. Meursault a bien travaillé. C'est samedi, il retrouve Marie. Ils prennent le bus pour aller à la plage située à quelques kilomètres d'Alger. Le soleil ; l'eau, le goût du sel, et les jeux amoureux dans les vagues : " Sa langue rafraîchissait mes lèvres et nous nous sommes roulés dans les vagues pendant un moment." Tous deux reviennent chez Meursault : "J'avais laissé ma fenêtre ouverte et c'était bon de sentir la nuit d'été couler sur nos corps bruns".
Le dimanche matin, Marie est restée. Elle souhaite savoir si Meursault l'aime ? Il lui " a répondu que cela ne voulait rien dire, mais qu'il (lui) semblait que non." Marie a eu l'air triste, puis la bonne humeur est revenue. C'est à ce moment-là, qu'ils entendent les bruits d'une dispute chez Raymond ; celui-ci frappe une femme en l'injuriant. Meursault et marie sortent sur le palier. L'arrivée d'un agent met fin à la dispute. La fille accuse Raymond d'être un souteneur, ce qui lui vaut d'être convoqué au commissariat.
Après le départ de Marie, vers 13 heures, Meursault dort une peu. Puis Raymond vient le voir. Il est heureux de sa vengeance et lui demande de venir témoigner. Meursault accepte. Ils sortent ensemble l'après-midi. Meursault trouve que "c'est un bon moment". À leur retour, ils trouvent Salamano sans son chien. Le vieil homme est complètement désemparé et leur explique comment celui-ci s'est sauvé. Les deux hommes le rassurent et lui indiquent que le chien a pu s'égarer, mais qu'il allait revenir.
Le soir, Salamano vient rendre visite à Meursault,. "Puis il m'a dit : "Bonsoir". Il a formé sa porte et je l'ai entendu aller et venir. Son lit a craqué. Et au bizarre petit bruit qui a traversé la cloison, j'ai compris qu'il pleurait. Je ne sais pas pourquoi j'ai pensé à maman".
Meursault est au bureau et Raymond l'appelle pour les inviter lui et Marie à passer le dimanche suivant chez un ami, dans un cabanon au bord de mer, près d'Alger. Raymond lui indique aussi que toute la journée un groupe d'Arabes l'a suivi, parmi lesquels se trouvait le frère de son ancienne maîtresse.
Peu après le patron de Meursault le convoque. Il propose de l'envoyer à Paris où il envisage de créer une agence. Meursault montre peu d'enthousiasme et son patron lui reproche son indifférence et son manque d'ambition.
Le soir Marie vient chercher Meursault et lui demande s'il veut se marier avec elle. Meursault lui explique que cela n'a aucune importance et que si elle désire ils peuvent très bien se marier. Puis les deux amants se séparent car Marie " avait à faire".
Dîner chez Céleste, à la même table qu'une petite femme affairée qui a un comportement d'automate. De retour chez lui, sur le pas de la porte, Meursault retrouve Salamano, qui lui annonce que son chien est définitivement perdu. Ils évoquent le chien, puis Salamano parle de sa jeunesse, de son ambition d'alors, de sa femme et de chien qu'il avait acquis à la mort de celle-ci. Puis il évoque la mère de Meursault : dans le quartier, on l'a mal jugé quand il l'a mise à l'asile, mais lui, Salamano, connaissait bien Meursault et il savait qu'il aimait beaucoup sa mère. Pour la première fois depuis qu'ils se connaissaient, les deux hommes échangent une poignée de main.
Le dimanche. Marie appelle Meursault et le réveille. Ils frappent ensuite à la porte de Raymond. La veille, Meursault a témoigné au commissariat que la fille avait "manqué" à Raymond. Marie est heureuse de passer la journée au bord de la mer avec Meursault. Au moment où ils vont prendre l'autobus, Raymond aperçoit sur le trottoir d'en face un groupe d'Arabes ( dont le "type" de Raymond) qui les regardent . Ils prennent l'autobus pour se rendre chez l'ami de Raymond, Masson, un grand gaillard sympathique. C'est en plaisantant qu'ils arrivent au cabanon de Masson, situé à l'extrémité de la plage. Il attend ses invités en compagnie de sa femme, une "petite femme ronde à l'accent parisien". Masson , Meursault et Marie partent se baigner. Meursault et Marie nagent ensemble ( " nous nous sentions d'accord dans nos gestes et dans notre consentement") puis s'allongent au soleil. Le déjeuner est arrosé, il est encore tôt et l'éclat du soleil sur la mer est insoutenable. Pendant que Marie aide Mme Masson à faire la vaisselle, Meursault, Raymond et Masson vont se promener sur la plage. Tout au bout, ils aperçoivent soudain deux Arabes. "C'est lui", dit Raymond reconnaissant son adversaire. Raymond frappe " son type" et Masson s'occupe de l'autre. Meursault ne prend pas part à la bagarre. L'un des Arabes a tiré un couteau, Raymond est blessé, sans gravité. Il part se faire soigner chez un médecin . Meursault, lui , reste avec les femmes. A son retour, vers une heure et demie, Raymond retourne sur la plage, Meursault l'accompagne. Les deux Arabes sont encore là, allongés près d'une source. Raymond provoque son adversaire mais Meursault , par précaution, l'oblige à lui remettre son revolver. Les deux Arabes se retirent tranquillement. La chaleur est insoutenable. A peine de retour au cabanon, Meursault éprouve le besoin de revenir se promener sur la plage, et il se dirige vers le coin ombragé de la source pour y trouver un peu de fraîcheur. Le "type" de Raymond est revenu. Du fait du soleil écrasant, Meursault va vivre la suite des événements dans une espèce de semi-conscience ; il serre le revolver de Raymond dans sa poche, envisage de faire demi-tour, mais sent la plage "vibrante de soleil" qui se presse derrière lui ; l'Arabe tire son couteau, la lumière gicle sur l'acier ; les yeux aveuglés de sueur, la main de Meursault se crispe sur le revolver, le coup part. "C'est là, dans le bruit à la fois sec et assourdissant, que tout a commencé. J'ai secoué la sueur et le soleil. J'ai compris que j'avais détruit l'équilibre du jour, le silence exceptionnel d'une plage où j'avais été heureux. Alors, j'ai tiré encore quatre fois sur un corps inerte où les balles s'enfonçaient sans qu'il y parût. Et c'était comme quatre coups brefs que je frappais sur la porte du malheur".
Albert Camus

Meursault est arrêté et subit plusieurs interrogatoires au commissariat, puis chez le juge d'instruction. Trouvant son affaire " très simple" Meursault ne juge pas utile de prendre un avocat. On lui en désigne un d'office. Il questionne Meursault sur sa mère et les sentiments qu'il avait pour elle. Les propos à la fois sincères et naïfs de Meursault gênent son avocat. Nouvel interrogatoire chez le juge. Il lui demande lui aussi s'il aimait sa mère. Il souhaiterait également comprendre pourquoi il a attendu entre le premier et les quatre autres coups de feu. Meursault ne manifeste aucun regret, et reste muet. Le juge, lui, est fébrile. Il invoque Dieu et le Christ et brandit un crucifix. . L'instruction, va durer onze mois. Maintenant que l'avocat y assiste , Meursault a l'impression d'en être un peu exclus " Le juge discutait des charges avec mon avocat. Mais en vérité, ils ne s'occupaient jamais de moi en ces moments-là".
Le jour de son arrestation, Meursault se retrouve enfermé avec d'autres prisonniers. Puis très vite, il se retrouve seul dans une cellule. De sa fenêtre, il peut voir la mer. Visite de Marie au parloir. Le bruit des autres conversations de prisonniers couvre les paroles de Marie. Meursault a du mal à se concentrer . Il ne lui répond que par des monosyllabes. Pourtant , il aimerait tant la prendre dans ses bras.
Puis Marie lui envoie une lettre, ce sera l'unique. Meursault souffre au début de cette privation de liberté . La mer lui manque, il a envie de cigarettes, il a des désirs de femme. Puis il s'habitue peu à peu aux privations et ne se trouve "pas trop malheureux". Pour tuer le temps dans sa cellule : il dort, il lit, il songe à ses souvenirs, et lit et relit un fait divers trouvé par hasard sur un vieux morceau de journal sous son matelas. Un soir il se regarde dans le miroir de sa gamelle : " Il m'a semblé que mon image restait sérieuse, alors même que j'essayais de lui sourire."
Le procès aux assises a lieu en juin. "Les débats se sont ouverts avec, au dehors, tout le plein de soleil." .Le matin, Meursault se confie à un gendarme et lui avoue l'intérêt qu'il éprouve à assister à un procès. Il n'a jamais eu l'occasion d'y participer. La salle du tribunal est bondée. On se presse pour le voir. Meursault découvre l'assistance depuis son box d'accusé . il y a les jurés alignés comme sur une banquette de tramway, les journalistes, la cour, les témoins. Les rires, la fébrilité qui règne dans cette salle, et les conversations semblent l'exclure : il se sent de trop.
Entrée de la cour. La séance débute par des questions administratives, puis c'est l'énoncé des faits. Le président interroge Meursault sur sa mère, sur le meurtre de l'Arabe. Les témoins défilent les uns après les autres : le directeur de l'asile, le concierge, Thomas Perez. Le tribunal apprend que Meursault n'a pas pleuré à l'enterrement de sa mère, qu'il a refusé de la voir une dernière fois, et qu'il a fumé dans la morgue. La salle est déconcertée, le procureur, lui, savoure sa victoire. Céleste, vient à la barre et peut juste confier que ce qui arrive à Meursault est un "malheur" ; il ne peut en dire plus. Harcelée par le procureur, Marie avoue que sa "liaison irrégulière" avec Meursault date du lendemain de l'enterrement, et qu'ils sont allés le soir même de leur rencontre voir un film de Fernandel. Puis elle craque, parce " qu'on la forçait à dire le contraire de ce qu'elle pensait." Le procureur en conclut "que le lendemain de la mort de sa mère, cet homme prenait des bains, commençait une liaison irrégulière et allait rire devant un film comique." Le tribunal accorde ensuite peu d'attention aux témoignages de Masson et de Salamano . Puis l'avocat général révèle à la cour que Raymond est un "souteneur" ; Meursault a écrit la lettre qui est à l'origine du drame, il a fourni un témoignage de complaisance en faveur de Raymond : ces deux hommes sont complices, et le crime de Meursault est évidemment un crime crapuleux. Les derniers propos du procureur sont accablants : "J'accuse cet homme d'avoir enterré sa mère avec un cœur de criminel". L'avocat proteste. A la réaction de son avocat, Meursault comprend que le procès tourne mal. Puis l'audience est levée, Meursault regagne sa cellule.
Meursault se sent exclu de ce procès, aussi bien des plaidoiries de son avocat que celles du procureur. Il assiste au procès comme s'il y était étranger. On parle de lui, mais sans jamais lui demander son avis. Quelques points cependant éveillent son intérêt. Ainsi le procureur qui l'accuse d'avoir prémédité son crime. :l'indifférence qu'il a manifesté à la mort de sa mère prouve son "insensibilité" . Le procureur va même jusqu'à assimiler son crime à celui du parricide qui sera jugé le lendemain : Meursault est un monstre, qui n'a "rien à faire avec une société" dont il méconnaît "les règles les plus essentielles". Emporté par sa démonstration, le procureur réclame la tête de l'accusé. Le président demande ensuite à Meursault s'il souhaite apporter un commentaire. Pour la première fois, l'accusé demande la parole. Il indique qu'il n'avait pas l'intention de tuer l'arabe et que ce crime a eu lieu à cause du soleil. Il prend conscience du ridicule de la situation : la salle éclate de rire.
L'avocat plaide les circonstances atténuantes. Il vante les qualités morales de Meursault. Mais celui-ci est ailleurs, il ne l'écoute plus ; sa vie lui revient en mémoire. Il éprouve une grande lassitude. Puis on s'empresse autour de son avocat pour le féliciter. Pendant les délibérations ce dernier se montre confiant, il croit en un verdict favorable. Une longue attente, un brouhaha, le silence de la salle, enfin le président fait lecture de la condamnation : Meursault aura "la tête tranchée sur une place publique au nom du peuple français".
Meursault refuse pour la troisième fois de voir l'aumônier. Il pense au "mécanisme implacable" qui le conduira à la mort, à ses chances de s'y soustraire. Apprendre qu'une seule fois, la roue s'est arrêtée, que le condamné à mort est parvenu à s'échapper, lui suffirait : " mon cœur aurait fait le reste". Il se souvient de son père qui avait assisté à une exécution capitale. Lui s'il était libre, il irait assister à toutes. Il pense à tous éléments de la mise en scène : la guillotine, l'aube ... Meursault sait que c'est à l'aube que les bourreaux viendront le chercher. Lorsque le matin arrive, il sait qu'il a gagné un jour de sursis supplémentaire. Il lui arrive même de songer à l'éventualité d'une grâce. Cette pensée le remplit d'une joie insensée.
Meursault pense à Marie, qui a cessé de lui écrire, quand l'aumônier pénètre dans sa cellule. La conversation s'engage entre les deux hommes. Les paroles de douceur et d’espoir de l'aumônier mettent Meursault hors de lui. L'aumônier insiste pour que Meursault se repente, mais le condamné à mort lui répond qu'il ne sait même pas ce qu'est le péché. En le quittant l'aumônier indique à Meursault son intention de prier pour lui. Meursault se précipite sur l’aumônier, le saisit au collet et l’insulte. Après son départ, Meursault retrouve le calme et se laisse transporter par la nuit estivale : "Devant cette nuit chargée de signes et d’étoiles, je m’ouvrais pour la première fois à la tendre indifférence du monde. De l’éprouver si pareil à moi, si fraternel enfin, j’ai senti que j’avais été heureux, et que je l’étais encore. Pour que tout soit consommé, pour que je me sente moins seul, il me restait à souhaiter qu’il y ait beaucoup de spectateurs le jour de mon exécution et qu’ils m’accueillent avec des cris de haine".

Livro:O Estrangeiro
autor:Albert Camus
editora:Record/Altaya
pgs:122
língua:Português
ano:não consta
Biblioteca pessoal: Não tenho.

quarta-feira, 21 de dezembro de 2011

Brasil pode se tornar desenvolvido em 20 anos

Para economista criador dos Brics, Brasil, Rússia, Índia e China não podem mais ser considerados países emergentes.

Antes do fim desta década, um representante dos Brics ocupará a chefia do Fundo Monetário Internacional. Até 2020, o yuan e o real passarão a compor o Direito Especial de Saques (SDR, na sigla em inglês), “moeda” do FMI, ao lado do dólar, euro, iene e libra. O Brasil tem as maiores chances de se tornar um país desenvolvido, o que pode ocorrer em 20 anos.
Jim O’Neill continua sonhando com o futuro dos Brics. A história da criação do conceito, a evolução dos países e suas perspectivas estão no livro The Growth Map: Economic opportunity in the Brics and Beyond (O Mapa do crescimento: as oportunidades econômicas nos Brics e além), que terá lançamento global em 5 de dezembro e deverá ter versão em português em 2012.
Em entrevista exclusiva à Agência Estado, em Londres, ele mantém o tom sempre otimista e contemporizador. Admite que a grave crise da zona do euro afetará os Brics, mas acha que a China, longe de ser uma bolha prestes a estourar, tem capacidade de contrabalançar os problemas do velho continente.
Para ele, os Brics não têm coerência como grupo político, por serem países muitos diferentes. Porém, precisam fazer parte da governança global. O’Neill prevê que eles se tornarão parte de um novo grupo, um G-9, menor e mais efetivo do que o G-20, a ser formado também por Estados Unidos, Japão, zona do euro, Reino Unido e Canadá.
Fanático por futebol e torcedor do Manchester United, ele diz que estará no Brasil para a Copa de 2014 – afinal, esteve em todos os quatro últimos mundiais. A seguir, os principais trechos da entrevista:
Jim O' Neil, economista inglês.

O sr., em algum momento, imaginou que o conceito dos Brics se tornaria tão famoso?
Eu nunca imaginei, isso mudou minha vida profissional. É extraordinário.
Se pudesse voltar no tempo, teria feito alguma escolha diferente?
Nos três primeiros anos, eu pensei sobre o México. Mas, quando olho para trás, não me arrependo. Na época, a escolha do Brasil foi a mais controversa.
A inclusão do Brasil foi sua maior aposta. Arriscado, não?
(Risos) Foi muito arriscado. Pessoas no Brasil dizem isso ainda hoje. Mas, como eu já estava no mercado há muitos anos, eu sabia da importância das metas de inflação. Isso foi o que realmente me influenciou.
No livro, o sr. menciona a resistência do seu colega do Goldman Sachs, Paulo Leme. Ele foi contra a inclusão do Brasil?
Ele ficou surpreso, não estava muito disposto. Mas, depois, ele deu muito apoio.
O sr. diz que a maior conquista do Brasil foi o controle da inflação. Algumas pessoas acreditam que o BC acaba de abandonar as metas de inflação. Como avalia?
Não acho que tenha abandonado. Mas não está tão independente como já foi. Talvez tenha apenas sido muito astuto quando olhou os problemas externos três meses atrás.
O sr. está preocupado com o controle da inflação no Brasil?
Não muito. Existe outro fator importante aqui: o Brasil tem o desafio da doença holandesa neste momento. O real subiu tão fortemente que as autoridades brasileiras precisam fazer algo. De certa forma, eu até admiro o fato de o Banco Central tomar certos riscos. Mas, eles precisam ter cuidados, é claro.
O sr. fala sobre o risco que a apreciação cambial traz ao País. Estamos vendo muita pressão no câmbio nos últimos dias com a crise europeia. Seria essa a reversão desordenada que o sr. teme?
A situação na Europa se tornou muito problemática nas últimas semanas, especialmente em relação à Europa. As autoridades europeias precisam ser mais decisivas, pois o mercado está muito nervoso. Falta confiança sobre as decisões políticas na Europa.
Essa turbulência pode afetar fortemente o real?
Já está afetando. A situação é muito frágil. Para ser honesto, muito vai depender da China. Se a China mostrar mais liderança, se a inflação lá cair e eles cortarem os juros e permitirem mais valorização da moeda, será muito importante para contrabalançar a crise na Europa.
Mas os Brics serão afetados pela crise europeia?
Claro, já estamos vendo isso. A zona do euro é um grande mercado. Isso afeta todo mundo, inclusive os Brics. Mas, deixe-me enfatizar: nos próximos 12 meses, o crescimento do PIB dos Brics será provavelmente igual a uma nova Itália. Precisamos manter essas coisas em perspectiva. É claro que a crise europeia pode afetar os Brics. Mas os Brics podem contrabalançar.
O sr. acredita que o Brasil entrará em recessão técnica?
Os dados mais recentes apontam que o PIB poderá se contrair no quarto trimestre. Mas acho que será temporário. Não tenho certeza de que o País entrará em recessão técnica.
Qual a taxa de crescimento que o sr. projeta para o Brasil nos próximos anos?
A tendência está entre 4% e 5%.
O sr. diz que os Brics não podem mais ser chamados de mercados emergentes. Qual é a perspectiva para que se tornem países desenvolvidos?
Acho que o Brasil tem, provavelmente, a maior chance. Até o fim desta década, a renda per capita terá dobrado. A economia está hoje perto de US$ 2 trilhões e o PIB per capita, próximo de US$ 15 mil. Talvez até o fim desta década seja de US$ 30 mil. Em 20 anos, o Brasil pode se tornar um país desenvolvido.
O que ainda precisa ser feito no Brasil?
Mais investimentos do setor privado e inovação.
Por que devemos acreditar que a China não é uma bolha, como o sr. argumenta? Há muita preocupação sobre a qualidade dos empréstimos, as dívidas locais e os preços das moradias.
Essa é uma visão muito popular. As pessoas precisam entender que os preços das casas na China estão caindo porque as autoridades estão tentando conter a alta. Não é um boom típico do Ocidente. É claro que não é o estouro de uma bolha, é o governo tentando conter.
O livro passa impressão de que o sr. não está tão entusiasmado com Rússia e Índia. É isso?
Interessante escutar isso. Eu estava tentando ser realista sobre os desafios. Sua conclusão está certa, eles ainda precisam fazer muitas coisas. O Brasil e a China estão à frente.
O sr. diz que os Brics têm limitações como grupo político porque são países muito diferentes.
O único ponto em comum é que eles têm populações muito grandes. E o desejo de ter mais sucesso.
Outro ponto em comum é a corrupção.
Sim. Mas há países do G-7 com esses problemas também. Muitas pessoas falam disso com mentalidade muito ocidental. Veja o que ocorreu na Itália nas últimas décadas: a Itália não está livre da corrupção.
Os Brics são ameaça ao G-7?
Não chamaria de ameaça. Os encontros de cúpula dos Brics destacam os acontecimentos econômicos do G-7. Foi como um oficial sênior do G-7 me disse recentemente: “Não podemos resolver nada sem a China”.
Como deve evoluir a governança global?
Todos os quatro Brics se tornarão parte de um novo grupo, menor que o G-20. Até o fim da década, estarão entre as dez maiores economias. Se a zona do euro sobreviver, se tornará apenas um grupo. Então, teremos Estados Unidos, Japão, a zona do euro, os quatro Brics e talvez o Reino Unido e o Canadá, no que seria o novo G-9.
O sr. também escreve que uma moeda comum dos Brics é muito improvável. Mas e a inclusão do yuan e até do real no Direito Especial de Saques (SDR, na sigla em inglês), a ‘moeda’ do Fundo Monetário Internacional?
Até 2020, sem dúvida é possível. Com base nas recentes definições do G-20, está claro que o yuan entrará até 2015. E o real poderia entrar até 2020.
E quando veremos um membro do Bric como chefe do FMI?
Em algum momento antes do fim desta década. Talvez o Armínio (Fraga, ex-presidente do Banco Central).
O sr. menciona isso no livro. Mas a indicação dele seria impossível no governo Dilma Rousseff.
Eu sei. Só estava tentando destacar que há pessoas preparadas.


Créditos à DANIELA MILANESE , CORRESPONDENTE / LONDRES - O Estado de S.Paulo
Jim O’Neill criou o termo BRIC, sem o S, para designar o grupo dos principais países emergentes: Brasil, Rússia, Índia e China. O termo BRICS, com S, foi criado pelo Brasil ao incluir a África do Sul, inclusão com a qual O´Neill não concorda.